Quanto Conta Ancora la Qualità Del Suono?
In origine era il vinile. Poi, tra gli anni ’60 e gli anni ’80, vi fu il boom prima della musicassetta e poi del Compact Disc. Gli anni ‘2000, invece, hanno portato in dote prima i lettori mp3 e poi i servizi di streaming alla Spotify. Minimo comune denominatore di ciascuno di questi passaggi è senza alcun dubbio la ricerca di una possibilità sempre maggiore di avere a portata di mano la musica che si desidera.
Se, infatti, quando vi era solo il vinile, la possibilità di ascoltare musica al di fuori dell’ambito domestico era affidata esclusivamente alla radio, pian piano ci si è spinti sempre più verso mezzi che permettessero una fruizione della musica in maniera autonoma, con il risultato che oggi ognuno è libero di crearsi la propria playlist e ascoltarla dove vuole (anzi, addirittura può ascoltare le playlist create da altri).
Tuttavia, se è vero che, da un lato, le nuove tecnologie presentano enormi vantaggi in termini di “trasportabilità” della musica, dall’altro è altrettanto vero che questo avviene a discapito della qualità sonora, che pare ormai avere un’importanza residuale nella scala delle priorità degli ascoltatori. Questo fa sì che, specialmente nell’ambito della musica pop e rock, generi nei quali spesso si fa uso dell’overdubbing, i vari suoni possano essere percepiti con maggiore accuratezza e quindi meglio apprezzati.
Tutto questo è stato reso meno possibile con l’evoluzione di cui ho parlato all’inizio: se, da un lato, il rapporto (in termini di qualità) tra musicassette e Compact Disc può essere paragonato a quello tra videocassette e DVD (con una chiara vittoria dei secondi sulle prime), dall’altro, la musica “liquida” dei nostri giorni (con il formato mp3 ed i suoi omologhi adottati da Spotify, iTunes, ecc.) tende a “comprimere” il più possibile l’audio, andando così a creare un suono sempre più piatto e difficilmente apprezzabile nelle sue varie sfaccettature.
A questo punto, però, sorge un quesito fondamentale: nella musica pop e rock di oggi, ci sono ancora così tante sfaccettature da apprezzare? Premettendo che il mio non vuole essere un discorso critico, ma solo un’analisi dell’evoluzione musicale, appare evidente come le contaminazioni elettroniche siano ormai capillarmente diffuse in tutta la musica pop e rock che abbia almeno una pretesa di essere “mainstream” o, per dirla con un termine che forse non ha più molto senso, “radiofonica”. Questo ha portato ad una maggiore standardizzazione dei suoni (come dimostrano i maggiori successi commerciali degli ultimi anni), tanto che in diversi casi è anche assurdo pensare che in un brano sia possibile cercare di distinguere i suoni dei vari strumenti, dato che questi, spesso, non sono nemmeno presenti.
E’ forse anche in questa chiave, quindi, che può essere analizzato il fenomeno cui prima accennavo, ossia quello della perdita di importanza, per l’ascoltatore medio, della qualità sonora del brano: non ha senso, infatti, puntare ad avere un formato audio di un certo livello se questo, oltre a non essere comodamente ascoltabile ovunque, non può comunque permettere di apprezzare più a fondo una canzone a causa dei limiti stessi della musica.
E il futuro cosa ci riserva? Quasi certamente l’evoluzione in questo campo (compatibilmente con il progresso tecnologico) continuerà a seguire il percorso evidenziato all’inizio verso formati che permettano di ascoltare la propria musica preferita sempre più liberamente, portando così vinili e Compact Disc ad essere relegati a meri oggetti da collezione per appassionati (per i primi è già così da un po’ di tempo) e poi, forse, addirittura a scomparire. Se a questo si aggiungerà progressivamente un sempre maggiore avvicinamento del pop e del rock all’utilizzo di strumentazioni elettroniche e alla tecnica del campionamento, allora fra qualche anno potremmo assistere alla scomparsa di alcune esperienze di ascolto tipiche della seconda metà del secolo scorso.
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