The Hod – Quando il mercato musicale italiano ti va stretto.
Francesco, Andrea, Marco e Simone sono quattro ragazzi Maremmani, precisamente di Grosseto, che poco più di un anno fa hanno deciso di incominciare insieme questo progetto chiamato The Hod.
Per quanto difficile qui in Italia, dall’inizio hanno deciso di portare avanti un progetto in inglese, nella speranza di poter portare il nostro prodotto anche fuori dal nostro paese. Se bisogna sognare lo si fa in grande!
Dal vivo sembra abbastanza chiaro il tipo di influenza e il genere che suonano questi ragazzi. Il sound ricorda molto quello di famose band moderne quali 30 Seconds To Mars, i Muse o i The Killers.
Il nome, che in un primo momento suona strano, ha a che vedere con la capacità dell’individuo di applicarsi al cambiamento, di mettersi sempre in gioco e al sapersi migliorare imparando dai propri sbagli. Concetto figo per la musica, no?
YMW li ha intervistati per capire conoscere meglio questa band unica nel suo genere.
Incominciamo dal nome. Perché “The Hod”?
Francesco: Il nome fu scelto insieme a mio fratello quando decidemmo di iniziare a suonare insieme. Dopo diverse prove abbiamo preferito un nome che potesse avere un significato e che potesse essere associato alle persone più che alla musica. Ci piacevano l’idea e il concetto di metterci sempre in gioco e, tramite varie ricerche, siamo finiti su dei siti che parlavano di Cabala. Qua siamo entrati a conoscenza dell’albero della vita, diviso in Sefire (dei cerchi) e una di queste è per l’appunto chiamata Hod. Questa Sefira rappresenta la parte dell’individuo che vuole mettersi sempre in gioco, che vuole imparare dai propri errori per migliorarsi sempre. L’idea ci piaceva molto, il nome era breve e incisivo e per questo lo abbiamo scelto.
La formazione non è sempre stata quella attuale. Chi sono i nuovi acquisti? Chi è stato aggiunto all’ultimo minuto?
Francesco: Rispetto al gruppo iniziale ero rimasto da solo, i ragazzi si sono aggiunti uno a uno. Andrea ad esempio venne da me una sera e mi disse – Oh! Io voglio suonare con te! Simone si è aggiunto poco dopo e poi ci fu la storia dello stato su Facebook che portò all’arrivo di Marco. Sono stato veramente fortunato, i bassisti sono una specie protetta, tipo dei Pokemon rari! (ride ndr.)
Marco: “Sono entrato a far parte della band quando ho letto lo stato di Francesco su Facebook dove reclamava un bassista. Il caso ha voluto che il mio storico gruppo si fosse sciolto qualche settimana prima e in quel momento ho colto l’occasione e ho deciso di provare”.
Ho visto che avete viaggiato parecchio con il gruppo nell’ultimo periodo. Come vi siete trovati nel passaggio da una cittadina come Grosseto, dove spesso è difficile suonare dal vivo, alle altre città dove avete suonato? Che cosa avete imparato?
Marco: Il panorama grossetano è un po’ problematico. Ci sono cinque scuole di musica in città ma nessun locale adatto a contenere un concerto di musica dal vivo.
Simone: Non credere che nelle altre città toscane o italiane il panorama musicale sia molto diverso. Abbiamo cercato di farci conoscere tramite il nostro CD in diverse città ma il problema rimane sempre lo stesso. È difficile anche trovare accordi con i locali perché c’è sempre chi preferisce le tribute band a chi porta pezzi propri. Rimane comunque sempre molto interessante viaggiare, scoprire altre città e salire su palcoscenici diversi.
Avete difficoltà, cantando i vostri pezzi originali in inglese, a trovare dei locali che vi accolgano per suonare?
Francesco: Quando andiamo a suonare non portiamo tutti pezzi nostri ma portiamo anche cover, perché per fare una serata è normale che si porti qualche pezzo conosciuto. Difficoltà direi di no, perché una volta sul palco il riscontro del pubblico è sempre positivo, le persone le coinvolgiamo facilmente. L’unico problema, come detto prima, è sempre arrivare a quel punto (su un palco). Perché poi una volta arrivati lì il nostro lavoro lo facciamo sempre!
La scelta di scrivere le canzoni in inglese è una scelta dovuta alla mancanza di un gruppo italiano di questo genere, oppure c’è qualcosa di più?
Andrea: L’idea (il sogno) è sempre quello di rimanere il meno possibile in Italia. L’italiano è parlato solo qui, l’inglese ci apre le porte. E poi, a dirla tutta, si applica bene al nostro genere.
Quindi chi scrive le canzoni? Non scrivere nella propria lingua rappresenta una difficoltà?
Francesco: I testi li scrivo io, ma i metodi per arrivare al brano completo sono due. C’è il processo in cui mi metto in casa, trovo un giro di accordi e una melodia che mi piace, scrivo un testo da cantarci sopra e lo propongo agli altri, che lo modificano e lo arrangiano. Oppure in sala prove spegniamo la luce e ognuno da sfogo alla propria fantasia. Continuiamo ancora e ancora finché non esce fuori qualcosa. D’altronde quando si è un po’ impulsivi, il risultato è sempre bello. Ci registriamo mentre io nel frattempo “mugolo” qualcosa e da quel mugolio, in fase di arrangiamento, creo un testo.
Marco: L’arrangiamento è una fase un po’ più lunga, che richiede l’aiuto di tutti su ogni singola parte. Ci chiudiamo in sala prove fino a quando il risultato ci convince in pieno. Questa fase può durare anche diverse settimane!
Avete delle band che vi influenzano maggiormente? Vi piace scoprire artisti nuovi e prendere spunto allargando i vostri orizzonti?
Marco: Siamo un po’ come vampiri! Prendiamo qualcosa un po’ da questo un po’ da quello. Diciamo che c’è un genere essenziale che ci caratterizza, ma io personalmente ascolto di tutto e non mi focalizzo.
Francesco: Io posso dire di avere dei gruppi che mi hanno dato ispirazione, da cui ho preso il modo di pormi sul palco. Questi possono essere i 30 Seconds to Mars (gli altri ridono, ndr.), i Coldplay e i Placebo.
Venite tutti dallo stesso genere o eravate un gruppo di amici con diverse influenze?
Andrea: Prima di tutto noi non eravamo amici! Perché amici si diventa dopo sei mesi, all’inizio eravamo conoscenti. Scherzo! Allora, io e Simone venivamo da un gruppo Indie mentre Marco aveva questa passione per il Garage Rock..
Marco: Diciamo che io ho ascoltato l’87. Se mi dovessi definire direi sicuramente il 1987!
Francesco: Ci siamo trovati, ognuno con le proprie influenze, e ci siamo adattati perché è anche bello così. Ognuno ascoltava cose differenti e tutt’ora e così, non credo che rappresenti un ostacolo per il gruppo, anzi ci aiuta ad arrangiare meglio le nostre canzoni grazie ai numerosi stili che conosciamo.
Che rapporto avete con le nuove tecnologie come Spotify, Youtube, Soundcloud, etc.? Credete che possano aiutarvi nella vostra scelta di cantare in inglese per farvi conoscere all’estero?
Francesco: Soundcloud per me è un parcheggio (ridono ndr.), ci lasci la macchina e dici “guarda quanto è bella!” No, diciamo che non ho mai trovato un riscontro molto positivo, soprattutto per delle band. Diciamo che funziona meglio per chi fa musica elettronica. Spotify invece è una piattaforma geniale, anche perché sei associato agli artisti simili nel tuo genere. Youtube rimane per me la migliore piattaforma per presentarsi. Le visualizzazioni sono un bel biglietto da visita. Il palco però è sempre la cosa che funziona meglio, la più utile per farti conoscere (anche come persona).
Progetti futuri? Avete intenzione di incidere un disco?
Simone: Per ora vorremmo continuare a fare tante serate, che in realtà ci danno una mano dal punto di vista economico. Lavorare in uno studio richiede moltissimo tempo (e denaro), quindi speriamo di vincere molti contest e magari delle registrazioni che ci aiutino a non finanziare un album interamente di tasca nostra.
Francesco: Spero che il video che abbiamo girato da poco su Youtube ci aiuti a farci conoscere e poi chissà, magari usciamo con il primo album. Le canzoni ce le abbiamo!
E’ stato un piacere ragazzi, in bocca al lupo!
The Hod: Grazie, ci siamo divertiti. Vi aspettiamo sul palco!
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